Cosa l’ha spinta a scrivere un romanzo incentrato sulla vecchiaia e sulla solitudine? C’è un’esperienza personale che l’ha ispirata?
Credo che tutti noi, seppur in declinazioni differenti, siamo coinvolti nell’esperienza di vita della vecchiaia. Quando siamo giovani con i nostri nonni e i nostri genitori, e quando saremo vecchi con i nostri ricordi. Senza contare che i romanzi incentrati sulla vecchia rispecchiano una grande tradizione letteraria; basta citare capolavori come “Il vecchio e il mare” di Ernest Hemingway, per non parlare di dell’opera teatrale “Re Lear” di Shakespeare fino al nostro Luigi Pirandello con “I vecchi e i giovani”.
Il personaggio di Benito Gramaglia è tratteggiato con grande sensibilità e complessità. Come ha lavorato alla costruzione della sua parabola emotiva e mentale?
Il personaggio di Benito è un coacervo di esperienze derivanti da incontri avvenuti durante i miei numerosi viaggi di lavoro in Italia e all’estero, contatti che non solo hanno restituito relazioni professionali ma anche mi hanno coinvolto in racconti di vita privata e familiare dai quali ho filtrato la personalità di Benito.
La struttura “Casa Paradiso” è descritta come un luogo di lusso ma, allo stesso tempo, diventa simbolo di abbandono. Qual è il suo pensiero sulle strutture per anziani oggi?
All’estero esistono oasi dorate per anziani non accessibili a tutti, in particolare nei paesi come la Svizzera dove vi è quasi una volontà individuale di continuare la terza età in luoghi meglio adatti a gestirla. Forse nel nostro paese esiste ancora un fortissimo concetto legato all’accudimento materiale per cui le strutture ricettive per anziani sono viste come una soluzione per alleggerirsi da impegni e non come luoghi di cura. Io credo che sia necessario lavorare sulla qualità delle strutture e sulla sensibilità del personale affinché tale cultura possa essere accolta anche da noi in maniera spontanea.
Nel romanzo il denaro gioca un ruolo centrale nei rapporti familiari. Secondo lei, quanto pesa davvero l’interesse economico nelle dinamiche tra genitori e figli?
Il danaro ha un peso rilevante in tutte le relazioni umane, magari ci si sforza di evitare che prenda il monopolio sulla nostra vita, ma è innegabile che la quantità di danaro di cui si dispone contribuisce a influenzare non poco l’esistenza, sia in bene che in male. Tra questi condizionamenti rientrano anche le dinamiche tra genitori e figli il cui peso del danaro non fine a sé stesso quale strumento di benessere ma di educazione al suo uso e alla sua gestione. Una buona educazione al danaro fin da ragazzi, una decentralizzazione dei valori economici nelle nostre vite potrebbe evitare spiacevoli malintesi in famiglia nel momento degli avvicendamenti ereditari.
La demenza di Benito è rappresentata con realismo, alternando lucidità e smarrimento. Come si è documentato per rendere così autentico questo processo?
Il lavoro di ricerca per uno scrittore è fondamentale, letture sull’argomento, lunghi colloqui con amici medici e ascolto degli anziani – perlopiù vicini di casa – è stata materia importante per contestualizzare lo stato di demenza del protagonista.
Febo, Belinda e Lory sono figli molto diversi tra loro, anche per scelte di vita e orientamenti. Come ha deciso di caratterizzarli? C’è un intento simbolico dietro le loro differenze?
I figli di Benito rappresentano le diverse fasce sociali e come lei dice “gli orientamenti” con valori non condivisi all’unanimità ed è la non condivisione che genera i conflitti necessari a reggere una storia. Ogni personaggio di Casa Paradiso, come del resto i figli di Benito, ha una sua vena di realtà derivante da persone esistenti o esistite e un collante d’immaginazione con cui lo scrittore riempie e interpreta i tasselli mancanti delle vere personalità a cui si è ispirato.
Il piano di Benito per riavvicinare i figli tramite la falsa eredità è insieme ingegnoso e amaro. Come è nata l’idea di questo espediente narrativo?
Qui gioca molto una passata esperienza di vita personale di una sorella di mia nonna, senza figli, era attorniata dai nipoti a cui elargiva continue somme di danaro. Una volta terminate le disponibilità le visite all’anziana zia sono diventate sempre più rare. Allorché saputa la storia mi ero chiesto cosa fosse accaduto sei un giorno avesse tirato fuori un testamento inaspettato. Da quel momento l’immaginazione del narratore ha fatto il resto.
Il romanzo alterna malinconia e ironia, specie nei dialoghi tra gli ospiti di Casa Paradiso. Quanto è importante, secondo lei, l’umorismo nell’affrontare la vecchiaia?
Le rispondo con una sola parola: determinante.
Il tema del senso di colpa attraversa tutta la storia. Pensa che sia inevitabile, nelle relazioni familiari, provare questo sentimento con l’avanzare dell’età?
Per un genitore può accadere, perché le dinamiche della vita ci spingono sempre a interrogarci sull’aver fatto o meno la cosa giusta. Nel caso del romanzo, per un padre fare la cosa giusta -nei riguardi dei figli – è spesso un’ossessione imprescindibile che può rendere la vecchiaia un ribollire di dubbi inevasi per un angosciante mancanza di tempo e di impossibilità di porvi rimedio. Il male peggiore, in questo caso, è la forzata rassegnazione.
Come ha trovato l’equilibrio tra il rischio di scivolare nel pietismo e il desiderio di raccontare con verità la fragilità della vecchiaia?
Personaggi come Alcide che stigmatizzano la vecchia, spesso con ripugnanti atteggiamenti da ragazzo, o con comportamenti fuori luogo contribuiscono a far insorgere nel lettore un senso di antipatia e disprezzo sufficienti a diluire la percezione di pietà per la fragilità della vecchiaia.
Nel finale emerge una riflessione sui veri valori della vita e dell’amore familiare. È questo il messaggio principale che desiderava trasmettere ai lettori?
Un finale da favola in cui ci si rende conto che la ricchezza è inconsistente al cospetto dei valori di amore e di affetto. Ma in realtà il vero finale della storia è anticipato e racchiuso nel prologo, quando nessuno dei figli intende tenere le ceneri del padre. Come dire che non è la presenza fisica di qualcuno a condizionare la nostra vita ma spesso lo è il suo solo ricordo.
Quale reazione o riflessione spera che il lettore porti con sé dopo aver chiuso Casa Paradiso?
Anche qui mi verrebbe da risponderle con una sola parola: unicità, nel senso che nella nostra vita tutto è unico e irripetibile ed è bene farne sempre parte integrante di un presente in precario equilibrio tra un passato fatto di ricordi e di un futuro fatto da incertezze.
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