mercoledì, Giugno 4, 2025
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UN’AMARA NOSTALGIA: LA MEMORIA E IL RIMPIANTO NEL ROMANZO DI LYAN RODOLFI

Nel suo toccante romanzo la SPALLIERA DI GLICINI Lyan Rodolfi ci conduce nel cuore del quartiere collinare del capoluogo partenopeo, dagli anni ’40 in avanti, per raccontare la storia silenziosa ma intensa di una donna e della sua famiglia piccolo-borghese. Più che un’autobiografia, il testo si configura come un “j’accuse” affettuoso ma implacabile nei confronti dei propri genitori. La pianta di glicini abbattuta, senza suscitare lacrime, e’ simbolo dell’incapacità dell’adolescente di reagire agli eventi e di modificarne il corso, nonostante l’istintivo, premonitore rifiuto ribelle.

La scrittrice ci mostra una Napoli del Dopoguerra, sfumata,  tranquilla, colma di entusiasmo creativo ,lontana dai soliti stereotipi folkloristici, e la utilizza come sfondo per analizzare un’infanzia e un’adolescenza vissute nel segno dell’assenza: assenza di dialogo, di empatia, di una reale attenzione alla crescita interiore dei figli, chiusi nel bozzolo della propria casa ,dove l’unico imperativo trasmesso ai giovani è quello dello studio, visto come sola via  per un futuro economico meno incerto. In questo scenario, però, la cura della persona, l’educazione sentimentale e sociale, la capacità di scegliere con consapevolezza il proprio partner, vengono del tutto trascurate.

Questa carenza di attenzione formativa diventa il nodo centrale del libro: i figli crescono, incompleti, privati di strumenti fondamentali per affrontare la complessità della vita adulta. La protagonista, giunta alla maturità, si ritrova a riflettere su questi vuoti educativi con lucidità impietosa.

Il trasferimento a Roma, alla fine degli anni ’60, segna per lei un momento di apparente rinascita. Per un breve periodo, l’aria nuova della contestazione, con il suo carico di libertà e rivoluzione anche sessuale, sembra lambirla. Ma si tratta solo di un soffio: gli eventi storici e i grandi cambiamenti sociali rimangono per lei come un brusio di sottofondo, mai veramente vissuti e interiorizzati, proprio come gli stessi eventi personali, che restano sprofondati nella routine di un’esistenza banale., sia pure avvertiti con disagio e scontento.

E così, nel suo percorso di memoria e di bilancio esistenziale, la protagonista scopre di essere rimasta sempre uguale a sé stessa, prigioniera di tabù, limiti e paure mai veramente compresi o affrontati. L’analisi del passato, compiuta con una precisione a tratti spietata, rivela una coscienza tardiva: ciò che le sembrava trascurabile e senza conseguenze, oggi le appare vissuto con un’indifferenza colpevole, ossia sorda alle tragedie collettive dell’epoca, quanto passiva nelle sue tragiche vicende personali.

La pianta di glicini abbattuta senza che le susciti lacrime o proteste e’ il simbolo della sua incapacità di reagire agli eventi , che pure  la colpiscono a fondo ,rimanendo fisse nella sua memoria  .

Lyan Rodolfi costruisce un romanzo che è insieme un atto d’accusa e una confessione intima, nella quale ogni scelta sbagliata, ogni ribellione superficiale e temporanea ,appaiono come ferite da ricucire mediante una presa di coscienza non solo del male del mondo  ,ma pure delle proprie mancanze .Un’opera eccellente ,un libro che merita di essere letto e diffuso, Anche perché ci ricorda quanto sia importante la presenza affettiva, l’ascolto, la  comprensione scambievole  con coloro  che abbiamo creduto di amare e da cui ci sentivamo amati 

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